Oh oh! mi sembra di aver visto un libro

Enrica Buccarella, insegnante di primaria che a questo blog ha collaborato con interventi sempre molto apprezzati, nei suoi percorsi didattici fa continuo ricorso agli albi illustrati, mettendoli al centro di intense attività di confronto e ricerca di senso a cui i suoi alunni partecipano con grande passione. Oggi, racconta anche di Oh! di Giovanna Zoboli e Massimo Caccia. Siamo molto contenti anche perché è di qualche giorno fa la notizia che il libro è stato selezionato nella terzina finalista della XIV edizione del Premio Nati per Leggere, sezione 6-18 mesi.

[di Enrica Buccarella]

No, non credo che i libri illustrati debbano essere asserviti alla didattica, che si debba forzarli per farli entrare nel 'programma' e usarli perché devo presentare questo o quell'argomento. Certo che i libri a scuola sono anche strumento, ma di dialogo e confronto, chiariscono affondano aprono, spesso molto più efficacemente e velocemente di quanto possa fare una spiegazione o di quanto dica una definizione.

Quando sono i libri giusti non devi andarli a cercare, chiedere loro di assolvere a una funzione per la quale non sono nati; se dentro hanno un'idea vera, che si sviluppa e moltiplica le possibilità di lettura, ti cercano loro.

Quando hanno dentro un'idea, e non una trovata... e questo pensiero, della differenza tra idee e trovate, io l'ho sempre avuto su moltissimi libri, anche quelli che tutti dicono, meraviglioso, stupendo, non può mancare. E poi il libro si risolve, invece, in una trovata che all'inizio può anche sembrare luminosa, ma poi si avvita su se stessa e langue fino alla banalissima conclusione.

Parlavamo in classe delle esclamazioni e alcuni libri ci sono venuti a trovare. E sì, li abbiamo usati, perché leggerli nella essenzialità che nasconde la ricchezza da cui sono nati, e godere del supporto prezioso delle figure, era la strada migliore per dire a tutti i bambini cosa significa 'esclamare' e in quanti modi e situazioni ricorriamo alle esclamazioni. Libri che dicono anche ciò che non dicono. Libri che guai a spiegarli, dire perché ohibò, perché uff, perché mah!

 

Tra questi uno mi è sembrato particolarmente efficace, constatando l’interesse e la curiosità che ha generato nei bambini, anche dopo la lettura condivisa, nel momento libero, che concedo sempre alla classe in cui ognuno può scegliere un libro, leggerlo da solo o in compagnia, commentarlo, rielaborarlo.

Il libro è OH, di Massimo Caccia e Giovanna Zoboli, edito da Topipittori.

Quell'oh! di sorpresa non può essere più chiaro e quei mah, beh, oh-oh, wow! hanno dentro storie che non si finirebbe mai di raccontare. E non c'è target che tenga, l'intelligenza non ha età.

Misha dice che anche in Ucraina si dice ahi! se ti fai male; Ray dice che è perché le esclamazioni non sono vere parole, sono espressioni che vengono fuori da sole, come un grido, un sospiro, un lamento, e che provare gioia dolore paura succede allo stesso modo in Italia in Cina o in Ucraina. E Junear aggiunge che, però, le esclamazioni si scrivono uguali, ma si leggono diverse, e io chiedo chiarimenti e lui dice Ah! e poi Ah! ed è tutto diverso e aggiunge che serve anche la faccia e il tono, per capire, se ah è sorpresa felice o spavento...

Allora oggi che abbiamo arte proviamo a capire quali sono i segni del volto che disegnano ah! in tanti modi e anche oh, oppure oooooh! e Uff! Ohibò! Bleah! e Cucù!

Segno/sopracciglia

Segno/occhi e pupille

Segno/bocca

Combiniamo i segni e otteniamo tante espressioni diverse e a ognuna proviamo ad abbinare un'esclamazione.

E cerchiamo di ricordare come si scrivono correttamente e dove, quando serve, si deve mettere la h. Anzi, facciamo di più, scegliamo l'espressione che ci è venuta meglio e la componiamo con segni/forme colorate e facciamo entrare la scrittura nel nostro disegno. Segni che disegnano e segni che dicono, tutti ugualmente espressivi e artistici. Anche la scrittura è arte.

Accipicchia maestra, come sono belli!

Ma maestra... accipicchia! è un'esclamazione?

Ecco, ora mi tocca spiegare le esclamazioni proprie e quelle improprie. In seconda!

Ma non è finita qui. Quando si introduce un argomento o un tema a scuola, non è mai finita. Dopo qualche giorno da questa bella conversazione sulle esclamazioni, accompagnata dagli esempi e gli esercizi ortografici che servono per prendere gradualmente confidenza con la lingua scritta, la maestra tirocinante che ospitiamo quest’anno nella nostra classe, mi invia una filastrocca a tema esclamazioni. Intuisco di cosa si tratti e le chiedo: è il nuovo libro di Bruno Tognolini? Sì maestra! Risponde allegra lei, che occhio! Sarebbe meglio dire: che orecchio! La scrittura di Tognolini ha una musica tutta sua, che una volta orecchiata, soprattutto se lo si è sentito leggere dal vivo, si distingue benissimo. In effetti il libro non l’ho ancora letto, ma ne ho già sentito molto parlare. Si tratta di Rime scolare, edito da Salani.  Lo stesso autore prima di procedere alla sua scrittura ha fatto un sondaggio tra le maestre per capire in che modo il suo lavoro poteva essere utile a sostegno di un percorso didattico nell’apprendimento della lingua scritta. Credo di essere stata una delle poche maestre, se non l’unica, che gli ha scritto: Caro Bruno, non lo fare. E c’è voluto coraggio a dirlo.

Tra le motivazioni espresse c’era la paura che queste rime, che Tognolini immaginava a sostegno delle famose schede che si danno ai bambini, potessero fare la tristissima fine delle filastrocche del Libro degli Errori di Rodari. Che venissero cioè non usate, ma abusate, che diventassero altre schede, fogli senza anima da distribuire all’occasione. Per la H, per l’uso dell’accento, per la punteggiatura. No Bruno, non scrivere per aiutare le maestre, lascia che si aiutino da sole in questo che è il loro lavoro. Con tristezza sono giunta alla conclusione, dopo molti anni di insegnamento, che chi non sa vedere la poesia che c’è nell’insegnare le sorprese e gli slanci che si nascondono nella costruzione di una lingua, non vedrebbe la poesia nemmeno nelle rime, per quanto accattivanti e musicali, e le userebbe pensando che servano per insegnare ai bambini a scrivere correttamente, come è stato già fatto. Ragione per la quale il povero Rodari, tanto mitizzato, è anche così tanto estraneo alla scuola, pochissimo letto in classe, incompreso e incomprensibile ai bambini. E le maestre in cuor loro lo sanno, ecco perché dopo aver usato la filastrocca (fotocopiata dai terribili libretti operativi e quindi distribuita in forma di scheda e incollata sul quaderno) come pretesto per introdurre la difficoltà ortografica del caso, di fronte alla perplessità dei bambini, incapaci di cogliere l’ironia rodariana, passano subito, nel migliore dei casi, all’esercizio scritto; nel peggiore, spiegano la filastrocca. E tutto questo perché nonostante i fiumi di parole su Rodari, ancora non a tutti è chiaro l’equivoco che accompagna il gioco di queste sue scritture. 

   

Rodari non voleva insegnare ai bambini come si scrive correttamente, e non voleva nemmeno aiutare le maestre. Rodari voleva insegnare ai bambini a fare gli errori. A fare gli errori con coscienza. A giocare con la lingua riconoscendole la possibilità di sbagliare intenzionalmente per raccontare ciò che è giusto, e non solo dal punto di vista ortografico. E questo si può fare solo quando si ha una grande padronanza della lingua e della sua correttezza. Chi sa giocare, sa che le filastrocche rodariane nascondono, o svelano, errori ricchi di significato. Ecco perché i bambini non possono apprezzarle, non come aiuto, non come sostegno all’esercizio. Ma solo come puro divertimento linguistico e solo quando hanno già una tale proprietà della lingua scritta e delle sue convenzioni che permette di cogliere subito il senso in un accento che c’è o non c’è, una acca che trasforma le parole, un punto che mette fine prepotentemente a una frase. Allora sì che la poesia concorre a rafforzare un concetto.      

E torniamo allora di nuovo lì, al punto di partenza. Come facciamo entrare i libri a scuola? Come li usiamo? Li pieghiamo ai nostri scopi e li svuotiamo del loro senso, li trasformiamo in schede, li smontiamo e ne prendiamo solo i pezzi adatti all’occasione?

  

   

Lascio la domanda aperta perché mi piace rispondere ogni giorno, attraverso ogni libro che scelgo o, meglio, ogni volta che un libro viene a scegliere me e mi dice: di tutte le cose che potevo contenere ho scelto questa e adesso io posso aiutare te a raccontarla e tu puoi aiutare me, a difendere la mia integrità di libro, ad arrivare ai bambini nel modo più giusto, facendomi amare per ciò che sono. A volte i libri arrivano prima, e a volte dopo. Se è il momento giusto, allora sì che i bambini potranno riconoscere il gioco rodariano o quello che Tognolini fa con la sua musica, con le parole che, quando suonano, anche insegnano.