Telefonata con il pesce

Oggi vi presentiamo la nostra ottava novità: Telefonata con il pesce, di Silvia Vecchini e Antonio Sualzo, un libro e un fumetto, un racconto disegnato, una storia per pesci e bambini, un'avventura per chiacchieroni e taciturni, una riflessione sul silenzio e l'amicizia. Fate la sua conoscenza attraverso le parole della sua autrice.

[di Silvia Vecchini]

Il primo giorno della prima elementare non ero in classe. Stavo rientrando da uno dei pochissimi viaggi fatti con i miei genitori. Tornavamo dalla Sardegna dove una cosa su tutte mi aveva colpito e cioè la trasparenza dell’acqua. Ricordo ancora adesso le parole di un’anziana signora che era seduta poco più avanti rispetto a me nella corriera. Disse ad alta voce: «Se lì cade un ago, sicuro che si ritrova».

Chissà come le era venuto in mente un ago in mezzo al mare.

Venivamo dal lago Trasimeno, un lago basso, laminare, alimentato dalla pioggia. Il suo fondo è un po’ limaccioso. Era l’acqua che conoscevo io e che anche quella donna conosceva. Quella che vedevamo lì era tutta un’altra cosa.

Ricordo che facemmo il bagno e io rimasi sopraffatta dalla bellezza di tutta quella trasparenza.

Al ritorno la scuola iniziò in salita. Non conoscevo nessun tranne Maria Chiara, figlia di un’insegnante, come me. Non ci eravamo tanto frequentate perché mi ero trasferita da poco. Però sapevo il suo nome, lei il mio. Io parlavo poco, con gli estranei quasi niente. Per giunta arrivai in classe che i posti erano tutti decisi e il ghiaccio del primo giorno era stato rotto. Mia madre chiese all’insegnante se Maria Chiara potesse stare accanto a me. Permesso accordato.

Per giorni, forse settimane, lei parlò al posto mio.

Poi andò sempre meglio anche se io rimasi una bambina molto timorosa nel dire tutto ciò che riguardava i miei pensieri. Mi piaceva credere che le persone a me più vicine potessero capirli al volo. Per mia mamma ad esempio ero convinta di essere trasparente come Giacomo di cristallo e come il mare della Sardegna. Ma anche quella soluzione aveva dei rischi e, quando più tardi lo capii, smisi all’istante di desiderarla.

«Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l’aria e l’acqua. Era di carne e d’ossa e pareva di vetro, e se cadeva non andava in pezzi, ma al più si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente. Si vedeva il suo cuore battere, si vedevano i suoi pensieri guizzare come pesci colorati nella loro vasca.
 Una volta, per isbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente poté vedere come una palla di fuoco dietro la sua fronte: ridisse la verità e la palla di fuoco si dissolse. Per tutto il resto della sua vita non disse più bugie. Un’altra volta un amico gli confidò un segreto, e subito tutti videro come una palla nera che rotolava senza pace nel suo petto, e il segreto non fu più tale (…)»

In qualche modo poi me la sono cavata. A scuola e fuori. Scrivere aiutava molto. A volte approfondiva il silenzio, altre riusciva ad aprire una breccia.

Mentre ero all’università, ho raccolto alcune poesie in un libretto poi stampato dall’editore Guerra nel 1999. Nella piccola silloge c’erano questi versi

Le cose che non ti dico

In verità sono poche

sono poche ossa

spezzate nel mio corpo

che premono verso il tuo

per farsi toccare.

Negli stessi anni mi stavo dedicando a un po’ di aiuto compiti e ripetizioni. La scuola mi chiamava e io mi prendevo in carico bambini e ragazzi. Mi capitò una bambina che non parlava fuori da casa sua. Aveva nove anni e da quando ne aveva tre, a scuola nessuno l’aveva mai sentita parlare.

Siamo state insieme per un paio di anni. Due ore al giorno per due, tre volte a settimana. Per mesi non mi ha detto una parola. L’ho fatta giocare con i balloon dei fumetti, con immagini, letture. Poi alla fine sono arrivati i biglietti. Io glieli lasciavo in camera, nell’astuccio, sotto il cuscino. Lei ha iniziato a nasconderli nella mia borsa, nella tasca della giacca, in mezzo al libro. Abbiamo iniziato a parlare così.

Poi un giorno ha preso il telefono.

La storia di questa bambina, insieme alla mia, mi è tornata in mente quando nel 2009 ho visitato il museo Post (Perugia Officina per la Scienza e la Tecnologia) di Perugia. L’occasione, oltre che una visita guidata, fu la mostra intitolata La Società del Telefono sulla storia della telefonia e delle telecomunicazioni.

Finita la visita notai in un angolo una piccola istallazione. Un acquario con dentro una cornetta con tanto di filo. Fuori dall’acquario un vecchio telefono nero a disco.

Il gioco consisteva nel sollevare la cornetta e ascoltare le voci dei pesci. Proprio così.

Un microfono faceva sentire le "parole" dei pesci, i suoni intenzionali fatti per comunicare messaggi, segnali di pericolo, corteggiamento... Scoprii che erano di tre tipi: idrodinamici (fatti con movimenti bruschi del corpo), meccanici (prodotti dalla percussione di denti, pinne, opercoli) e vescico-natatori (risultato della compressione dei muscoli connessi alla vescica natatoria).

Ma soprattutto, quei suoni misteriosi pieni di fascino mi regalarono l’impressione che qualcosa tornasse.

Non è che la bambina incontrata anni prima non parlasse. Parlava eccome. Ma serviva una cornetta da buttare nel fondo del suo acquario come una lenza a pescare i suoi segnali, come i miei. Ho pensato a quante volte Maria Chiara mi avrà parlato prima che io le rispondessi. L’amicizia, come l’amore, non è altro che tentare di comporre un numero infinite volte.

Ho scelto di raccontare questa storia perché nelle scuole che mi capita di visitare vedo tanti, tanti bambini pesci. Per i motivi più diversi. Li incontro nei laboratori di scrittura. E spesso trovo una conferma di ciò che sento vero.

Che la scrittura, per me in particolare la poesia, come anche il disegno possono essere questo telefono dal filo lunghissimo.

Sarebbe bello utilizzarli più spesso tra i banchi di scuola con questa consapevolezza e questo desiderio.

Qualcosa che aiuti a uscire dal silenzio o dalla confusione di parole inceppate o gridate.

Qualcosa che ci aiuti a guardare in trasparenza dentro di noi ma allo stesso tempo non ci faccia perdere la nostra parte segreta.

Qualcosa che sappia soffiare e sciogliere una palla di fuoco o accarezzare una palla nera che rotola senza pace.

Nota

Per festeggiare l’uscita del libro ho preparato questo pannello morbido.

Ho disegnato sulla stoffa un pesce come quelli del libro. Ho chiesto a mia madre, sapiente ricamatrice, di utilizzare i colori di Sualzo per scrivere alcune parole della storia e poterle riprendere così nella conversazione con i bambini. Ho cucito due tasche. Dentro quella in alto farò scivolare l’albo, dentro l’altra metterò un piccolo gioco facile da indovinare. Chi viene a dire pronto?