[di Giovanna Zoboli]
Joanna Concejo, nel tempo, ci ha abituati a libri illustrati in cui il confine fra parola e immagine è sempre più stretto, potente e sottile. M come mare e L’anima smarrita sono esempi eclatanti di narrazioni che srotolano sotto lo sguardo del lettore sequenze quasi filmiche di immagini, in montaggi raffinatissimi, governati da una sapiente abilità di costruzione visiva di ambienti, atmosfere, trama, frammenti di memoria. Quella di Joanna è una attitudine direi quasi unica (e imitatissima, per esempio è diffusa una maniera ‘alla Concejo’ di illustrare gli interni delle case) che fa pensare a quella di grandi romanzieri e registi del Novecento, interessati alla rappresentazione della frammentazione del reale, del suo sfaldarsi sotto lo sguardo umano, smarrito nell’abbracciarne l’ampiezza.
Nell’ultimo libro, da qualche giorno in libreria, Il signor Mirabile, realizzato intorno a un racconto di Olga Tokarczuk, Premio Nobel 2018, tradotto da Raffaella Belletti, troviamo queste caratteristiche sviluppate al massimo grado, al punto che il lettore che pure ben conosce questa illustratrice ha l’impressione di vedere qualcosa di completamente nuovo.
Intanto, rispetto ai precedenti libri, sono mutati gli spazi in cui ha luogo la storia. Questa volta anziché naturali - la natura è uno dei soggetti elettivi di Concejo e più affini alla sua sensibilità -, sono urbani, elemento che introduce un registro narrativo diverso, che vira la connotazione malinconica tipica di Joanna verso una durezza quasi espressionista. Il segno si è fatto più icastico, i colori più violenti; le doppie pagine sono costruite per accumulo di frammenti visivi.
Come in L’anima smarrita, in Il signor Mirabile il testo di Tokarczuk, e anche il frontespizio del libro, arrivano dopo una serie di pagine prive di testo. Sono immagini che illustrano quello che il lettore riconosce come una sorta di album fotografico del protagonista, dalla prima infanzia all’età adulta. Foto di famiglia in bianco e nero, di altri tempi, che raccontano di bambini di qualche decennio addietro, in pose e ambientazioni che non usano più (la presenza di foto datate o vecchie è un marchio di fabbrica dell’immaginario di Joanna). Man mano che il soggetto cresce e le foto si avvicinano al presente, i format cambiano, avvicinandosi a quelli del nostro tempo. La sequenza fotografica culmina, infatti, in quello che evidentemente è un selfie, l’unico che Joanna ci mostra fra le migliaia di cui parla il racconto e che il protagonista scatta; l’unico che vedremo in tutto il libro.
La storia che, a questo punto del libro il lettore ancora non conosce, ma a breve conoscerà, infatti, è quella di un uomo ossessionato dalla propria immagine, e che interpreta il reale come illeggibile caleidoscopio in cui prende forma solo l’immagine di sé; al punto da arrivare, a forza di ritrarre il proprio volto, a consumarlo, scomponendolo in una caotica maschera di pixel, come mostrano le pagine centrali del libro che si aprono sulla maggior parte del testo.
Concejo, in un controcanto ironico, per tutto il libro ci mostra, non i selfie del signor Mirabile, ma i frammenti del reale in cui l’uomo si muove. Quella che vediamo scivolare in misteriosi scorci di città, periferie urbane che si riflettono in finestre, pozzanghere, vetri, specchi, cartoline, vedute, è solo la sua ombra, dove la fisionomia si dissolve nell’attimo fissato dall’immagine dei luoghi che misteriosamente sorgono dal flusso del tempo.
Il bellissimo racconto di Tokarczuk, nell'ipotizzare spiegazioni circa lo strano fenomeno della scomparsa del volto del protagonista, a un certo punto dice: «Lesse su Internet che con tutta probabilità era caduto vittima di un nuovo virus giunto fin lì da lontano. Un’altra ipotesi, invece, parlava dell’influsso di un buco nero scoperto di recente nella costellazione del Basilisco. Si imbatté perfino in una teoria che lo turbò particolarmente – a quanto pareva, proprio il fare foto rimuoveva dai volti umani lo strato visibile e delicatissimo della realtà.»
Ho pensato che quel che Joanna Concejo vuole mostrarci in questo libro meraviglioso è esattamente questo: “lo strato visibile e delicatissimo della realtà”. Qualcosa che è sotto i nostri occhi, visibile, ma ci sfugge. Uno strato delicatissimo, in pericolo, e sempre sull’orlo della scomparsa, a causa dalla nostra incapacità di vedere.