Natura, lettura, narrazione ovvero educare al pensiero ecologico

Rosa Tiziana Bruno oggi, sul nostro blog, presenta la seconda novità settembrina, Educare al pensiero ecologico. Letture, scritture e passeggiate per un mondo sostenibile, il nuovo volume della collana I topi saggi.

[di Rosa Tiziana Bruno]

Quando ho iniziato la ricerca sul disagio giovanile all’interno della scuola, la mia attenzione era concentrata sul sistema delle relazioni. Intendevo osservare le relazioni nelle classi per programmare interventi socio-educativi in grado di fronteggiare le varie forme di disagio, oltre che rendere più efficace e piacevole l’apprendimento. Da sociologa, infatti, sono convinta che il sistema di relazioni influenzi l’apprendimento in modo determinante.

Avanzando nella ricerca, però, mi sono resa conto che le problematiche evidenziate dai ragazzi rientravano quasi tutte nella Sindrome da deficit di Natura, ovvero erano conseguenza di un distacco prolungato dal mondo naturale. In effetti, già negli anni Settanta, Bateson sosteneva che la mente umana può funzionare bene soltanto se è ottimale il rapporto con l’ambiente naturale (e sociale), e oggi le neuroscienze lo confermano. In corso d’opera, dunque, ho pensato di impostare gli interventi educativi abbinando l’approccio socio-relazionale alla partecipazione esperienziale. Quindi, insieme agli insegnanti, ci siamo concentrati non soltanto sulla dimensione emotiva, ma anche sulla possibilità di contatto diretto con la Natura. Si impara nell’unità di mente e corpo: più sensi sono coinvolti, maggiore sarà il numero di connessioni neuronali create e più facile e duraturo sarà l’apprendimento.

Non basta la trasmissione del sapere, bisogna puntare anche e soprattutto all’acquisizione della consapevolezza, di sé e della propria relazione con il mondo. La scuola è il luogo giusto dove imparare a costruire relazioni sostenibili, ovvero a vivere in armonia con gli altri e con gli elementi naturali. Direi che la necessità di recuperare questa armonia è senza dubbio una delle cose che la pandemia ha reso più evidenti. Il senso del limite, di cui abbiamo fatto esperienza, ha evidenziato l’importanza dell’incontro con l’altro e con gli spazi naturali.

La domanda che ora possiamo porci insieme è: come trasformare la nostra vita in modo da non essere distruttivi nei confronti del mondo e di noi stessi? E ancora: Cosa può fare la scuola per la Natura e per un mondo sostenibile? E cosa la Natura può fare per la scuola?

Sono queste le domande che hanno guidato il mio percorso di ricerca, durato due anni e protrattosi anche in pieno lockdown. I risultati ottenuti sono incoraggianti e mi sembrava importante condividerli con chiunque avesse desiderio di prendersi cura dell’educazione di bambini e ragazzi. Così è successo che le scoperte, le strategie adottate, le risposte delle scuole e delle famiglie, sono confluite in un libro, Educare al pensiero ecologico, che Topipittori ha subito accolto, regalandomi la possibilità di diffonderle. La vera forza del pensiero ecologico risiede nell’affermarsi come qualcosa di nuovo, di diverso, prendendo, per esempio, le distanze da pulsioni egoistiche e aggressive, oggi spesso assecondate. L’obiettivo è sviluppare le coscienze in una dimensione che consideri il noi e non soltanto il me. Preservare la vita del pianeta significa prestare attenzione ai cambiamenti climatici, ma ancora di più alle relazioni umane. E questo vale anche per la conquista del benessere personale.

Ho sperimentato, con bambini e ragazzi di tutte le età, l’importanza di stimolare i il dialogo interiore e l’ascolto dell’altro: è infatti impossibile comprendere gli altri senza una buona educazione all’ascolto e senza imparare a dialogare con se stessi. Sono questi i due presupposti per la formazione del Sé ecologico. La pratica scolastica dovrebbe allargare la propria attenzione, oltre che al paesaggio interiore, anche al contatto con la Terra e i suoi spazi. Un percorso di alfabetizzazione ecologica deve essere un invito a sentire la Natura attraverso le emozioni che suscita. Come fare? Quali strumenti usare?

Nel mio studio ho sperimentato che la Natura deve necessariamente intrecciarsi con la narrazione e la lettura in un continuum armonioso. Del resto, sin dall’antichità le storie raccontate davanti al focolare avevano come protagonisti esseri umani, piante e animali. La Natura fa parte delle storie, perché da sempre le storie servono per aiutarci a soddisfare quel bisogno di pace e armonia di cui siamo costantemente in cerca. L’educazione alla sostenibilità ha dunque bisogno della letteratura, perché leggere buone storie è il modo privilegiato per riflettere sui sentimenti, anzi per imparare i sentimenti. Incoraggiare le passeggiate nel bosco o predicare l’altruismo risulterà inefficace fino a quando ci considereremo separati gli uni dagli altri, incapaci di riconoscerci membri di una medesima grande comunità.

 

La strategia didattica di cui parlo nel saggio coniuga tre elementi fondamentali: lettura, scrittura e passeggiate in Natura. Il Fiabadiario, questo è il nome del percorso, è composto da due vocaboli: fiaba, genere narrativo che nasce con la cultura umana, e diario, che rimanda all’annotazione di esperienze vissute. La narrazione è al centro, in tutte le sue forme, orale e scritta, compresa quella autobiografica, ed è abbinata all’esperienza all’aperto, che ne rafforza le potenzialità. Tutto si sviluppa a partire da due attività: la lettura collettiva e la passeggiata nella Natura.

Chi ha detto che leggere e muoversi nella natura siano attività da non poter svolgere insieme? Non soltanto è possibile, ma si possono organizzare sempre, persino durante un lockdown. Educare al pensiero ecologico implica l’apprendimento esperienziale, che non vuol dire trasferimento dell’aula scolastica all’aperto, ovvero fare lezione sotto un albero. Significa piuttosto partire dal proprio sentire, dalle sensazioni che il contatto con la Natura suscita. Poggia sul coinvolgimento della persona: il piacere, il sentirsi a proprio agio per conoscere e per imparare a essere insieme. È educazione all’ascolto, al dialogo, all’accettazione reciproca, per riflettere insieme su come realizzare il benessere collettivo. L’obiettivo è condurre bambini e ragazzi ad avvertire l’urgenza di creare un habitat sostenibile per tutte le creature viventi, non per paura di una catastrofe, ma per amore della vita in ogni sua forma. Attualmente i piccoli vivono la quotidianità con un livello di sedentarietà che non ha eguali nella storia dell’uomo, con conseguenze negative in termini di capacità di ascolto e di concentrazione. Anche in questo la letteratura ci soccorre, con la sua capacità di accendere riflessioni e di incuriosire.

«E poi, avete notato che i libri sono come alberi? Hanno radici, tronco, corona e semi!», scrive Richard Powers, in Il sussurro del mondo. Parafrasandolo, potremmo dire che le radici sono tutto ciò a cui attinge uno scrittore per creare una storia, il tronco è la storia che si sviluppa e diventa sostegno, la corona, cioè la chioma, è la cornice di senso che circonda la storia e i semi sono tutto ciò he germoglia dalla lettura o dall’ascolto.

La letteratura fa bene alla salute delle persone e del pianeta? Direi di sì, tutta, e ancora di più quella che offrono i libri illustrati.

Non ci resta che leggere, e poi passeggiare.

 

Questo saggio si è avvalso di preziosi interventi di persone esperte che stimo e ringrazio: Laura Pigozzi, Claudio Catalano, Daniele Novara, Grazia Benedetti, Giovanna Zoboli, Gabriella Armenise, Paolo Tasini, Cinzia di Dio. Un grazie speciale va poi al Preside, agli insegnanti e ai genitori dell' I.C. Perna - Alighieri di Avellino, sede principale della ricerca, insieme all' Ospedale Luigi Sacco di Milano e alle tante altre scuole dove sono stata accolta con affetto.

Il brano che segue è tratto dall'introduzione dell'autrice a Educare al pensiero ecologico. Letture, scritture, passeggiate per un mondo sostenibile.

Questo libro nasce da una ricerca da me condotta, in convenzione con il dipartimento di Sociologia dell’Università degli Studi di Salerno, e presentata al convegno “Educazione Terra Natura” dell’Università di Bolzano. Dal punto di vista metodologico, si è trattato di un progetto di ricerca-azione, ovvero un tipo di indagine che, insieme all’analisi del problema, prevede anche momenti di intervento concreto in classe. Gli interventi realizzati sono stati di vario di tipo e il percorso di alfabetizzazione ecologica è risultato indubbiamente tra i più efficaci.

Come sociologa dell’educazione, e anche in qualità di autrice per ragazzi e insegnante, svolgo da anni laboratori nelle scuole, osservando da vicino il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. Incontro realtà variegate, i ragazzi non sono copie fotostatiche l’uno dell’altro, ma ovunque riscontro situazioni di disagio. Sono in aumento fenomeni come iperattività, bisogni educativi speciali, autismo, difficoltà comportamentali e di relazione, disturbi specifici di apprendimento, apatia, aggressività, bullismo. Queste realtà si ripercuotono anche su bambini e ragazzi che non presentano situazioni critiche personali, perché la classe è un “sistema sociale” e il disagio di alcuni ricade inevitabilmente anche su tutti gli altri.

Le statistiche epidemiologiche recenti ci informano che un bambino su dieci soffre di disturbi psicologici e la depressione è una delle principali cause di malattia tra gli adolescenti, mentre il suicidio è la terza causa di morte tra i quindici e i diciannove anni. Sono dati dolorosi, è vero, ma dobbiamo prenderli seriamente in considerazione per iniziare a rivedere il modo in cui organizziamo la società, a cominciare dalle strategie educative a scuola e in famiglia. Affrontare il disagio di bambini e ragazzi è fondamentale per migliorare la didattica e garantire ai piccoli una formazione completa ed efficace.

Perché un progetto di alfabetizzazione ecologica potrebbe aiutarci ad affrontare queste diffuse sofferenze e a migliorare la didattica? L’ambiente, da sempre, determina le condizioni psicofisiche della persona: basti pensare a come uno spazio aperto, per esempio un paesaggio marino o montano, possa favorire ben altre sensazioni rispetto a un luogo chiuso. Il giornalista americano Richard Louv ha indagato a fondo la relazione dei bambini con il mondo naturale, in contesti sia attuali sia storici. Sul finire degli anni Novanta, è andato in cerca di prove concrete per verificare origini e cause di disagi frequenti tra i giovani: difficoltà di attenzione, obesità, spegnimento della creatività, iperattività, depressione. I risultati della sua ricerca sono stati pubblicati nel 2006, in un libro-denuncia in cui per la prima volta viene coniata l’espressione Nature Deficit Disorder per indicare l’insieme dei segnali che caratterizzano la condizione umana in assenza di contatto con la natura.

Dagli studi di Louv è emerso con chiarezza che la relazione uomo-natura gioca nella nostra vita un ruolo fondamentale. Quando la relazione è buona, influisce positivamente sulla nostra vita mentale, fisica e spirituale, fungendo da antidoto alla crescente e generalizzata epidemia di disagio. Non solo può giovare all’equilibrio interiore, ma influenza anche la capacità di apprendimento e le relazioni sociali, e stimola il senso etico. Per esempio, animali domestici come il cane possono insegnare ai bambini un comportamento etico più di quanto non possa fare un lungo sermone di insegnanti e genitori. Non a caso noi esseri umani abbiamo una predisposizione spontanea nei confronti della natura. Edward O. Wilson, sociobiologo dell’Università di Harvard, ha ipotizzato una base genetica per la tendenza innata dell’uomo a entrare in empatia con il mondo naturale, chiamando questa predisposizione biofilia. Howard Gardner, sempre da Harvard, sottolinea l’esistenza di una intelligenza naturalistica che, se ben coltivata, può sviluppare l’innata predisposizione umana verso la natura e condurre al benessere emotivo e relazionale. Tuttavia, con la crescita e con il relativo sviluppo cognitivo, questa naturale disposizione rischia di essere compromessa, o addirittura atrofizzata a causa dell’educazione ricevuta e del contesto socio-culturale in cui ognuno di noi vive, come spiega bene Louv in un’intervista:

 

[…] ho intervistato più di tremila genitori e i loro bambini, e c’era un dato che emergeva costantemente: il cambiamento radicale nel rapporto tra i bambini e la natura. Molti bambini mi confessavano di preferire il gioco sedentario in casa. Un ragazzo, in particolare, mi stupì dicendomi che preferiva giocare a casa perché sapeva dove si trovavano tutte le prese elettriche. Scrissi un articolo su questo fenomeno, e gli esperti di pedagogia cominciarono a usarlo come prova dell’insorgere di un nuovo tipo di disturbo comportamentale.

 

I tre volumi della collana I topi saggi (ph. Antonella Capetti).

 

Anche nel cosiddetto “tempo libero” tutto è preorganizzato. I parchi gioco sono programmati nei dettagli, sia nelle scuole sia nelle aree verdi delle città, compreso l’arredo urbano. Non esiste la possibilità di costruire un rifugio-gioco, è vietato arrampicarsi sugli alberi e non ci sono canneti o boschetti in cui nascondersi. Il mondo è fatto di luoghi modificati dall’uomo, com’è comprensibile che sia, ma questi dovrebbero compenetrarsi con luoghi lasciati al naturale, per adulti e bambini. Ma anche là dove ancora resistono punti di contatto tra ambiente urbano e natura, accade che siano in pochi a saper godere di questa opportunità. Quel che è più grave è che a volte non si riesce a fare esperienza di eventi naturali, perfino quelli più eclatanti e quotidiani, come il sorgere e il tramontare del sole.

Un insegnante di scienze della scuola secondaria di primo grado mi raccontava, qualche anno fa, di aver assegnato ai propri alunni il compito di osservare un tramonto da casa, per parlarne insieme il giorno successivo. La scuola era ubicata tra i monti del Trentino, dove le abitazioni sono immerse nella natura. Ebbene, l’indomani il docente ha scoperto che i ragazzi avevano preferito osservare foto di tramonti nel web, piuttosto che affacciarsi alla finestra e guardare dal vivo.

La città ci abitua alla luce anche quando in natura non è presente. Nelle case l’elettricità permette di vivere di notte come fosse giorno, e spesso non si percepisce più il passaggio dall’una all’altra condizione. I miei studenti, adolescenti, mi raccontano di andare spesso a dormire ben oltre la mezzanotte, anche durante la settimana scolastica. Oltre alla confusione fra giorno e notte, diventa sempre più difficile percepire le sfumature di colore, come spiega il maestro Gianfranco Zavalloni:

 Anche quando con i bambini usiamo i colori non ci ricordiamo più delle sfumature. Il pericolo è quello di vedere solo nero o bianco. Si rischia l’integralismo. In una società in cui le diversità aumentano anziché diminuire, quest’atteggiamento può essere realmente dannoso.

 

Fino a qualche decennio fa, se un bambino veniva mandato nella sua camera durante le ore diurne, era perché si stava comportando male. Oggi le cose sono molto diverse. La camera da letto del bambino medio durante il giorno è un luogo di intrattenimento: l’epicentro della sua vita sociale. Qui può accedere al mondo esterno tramite il telefono cellulare, la TV o il computer; o immergersi nel mondo dei videogiochi, i cui scenari sono così convincenti che i bambini a volte hanno difficoltà a distinguere tra la realtà virtuale e il mondo reale. Perché mai, allora, dovrebbero avventurarsi all’aperto? Nei circle time che ho condotto durante la mia ricerca, diversi bambini hanno raccontato di avere una dipendenza da videogiochi. Per le nuove generazioni, la natura è qualcosa di astratto, di lontano dalla realtà, qualcosa da ignorare, come ben spiega Louv:

 Mentre i bambini crescono, le loro “dipendenze elettroniche” aumentano.

I bambini europei dagli 11 ai 15 anni trascorrono circa la metà della loro vita da svegli davanti a uno schermo: 7,5 ore al giorno, un aumento del 40% in un decennio. La crescita del gioco virtuale, in contrapposizione a quello reale, ha un profondo effetto sulla vita dei bambini chiamato “l’estinzione dell’esperienzae”.

 

Una ricerca condotta nel 2012 da Stephen Moss, giornalista Bbc, mette in evidenza come, rispetto agli anni Settanta del secolo scorso, vi sia stata una riduzione dei giochi all’aperto pari al 90%, con conseguenze importanti su bambini e ragazzi. A livello fisico, la vita sedentaria e passiva delle nuove generazioni rischia di condurre a problematiche quali il sovrappeso, la carenza di vitamina D (di centrale importanza per il metabolismo osseo), l’indebolimento del sistema immunitario e un minore sviluppo della coordinazione motoria, dell’equilibrio e della forza. Rincorrersi, fare le capriole, saltare la corda, andare in bicicletta, sono attività che favoriscono uno sviluppo corporeo armonico. Ma oltre alle conseguenze fisiche, altrettanto gravi sono le problematiche psicologiche: sempre più di frequente i bambini soffrono di stress, ansia, irritabilità, problemi di concentrazione. Gli ambienti digitali e tecnologici li deprivano della loro curiosità e creatività. Essi sono sempre meno in grado di assumersi rischi e mettersi alla prova. Ovunque fioccano diagnosi di deficit di attenzione e/o iperattività (ADHD), ma pochi si interrogano sulla necessità dei bambini in crescita di compensare il tempo trascorso in ambienti chiusi e artificiali con altrettanto tempo nella natura, liberi di muoversi, di socializzare, di esplorare, di inventare ed acquisire fiducia in se stessi.

La ‘dimenticanza’ dell’importanza della relazione con la Natura non è un accadimento degli ultimi decenni, e nemmeno degli ultimi secoli. In realtà affonda le radici in un passato lontanissimo e nel tempo è peggiorata. È importante saperlo e sottolinearlo perché solo conoscendo origini e cause di un fenomeno possiamo sperare di affrontarlo nel modo giusto e tentarne la risoluzione. Avere un quadro ampio della situazione ci consente, per esempio, di non demonizzare semplicisticamente i nuovi giochi virtuali. Sarebbe facile trarre la conclusione che il richiamo degli schermi è l’unico motivo, o il principale, per cui i bambini raramente escono all’aperto. In realtà, se i bambini di oggi non interagiscono più con il mondo naturale, la colpa non può essere attribuita unicamente alla facilità di collegamenti online. La tecnologia, anzi, potrebbe portare benefici ai ragazzi, come la possibilità di accedere a molte informazioni sul mondo naturale.

 

Educare al pensiero ecologico di Rosa Tiziana Bruno from Topipittori on Vimeo.