L'aula e l'orto, officine di meraviglia

ovvero Zappe, stivali e Lepron. L’orto come officina di apprendimento

[di Letizia Soriano]

Questo è il nostro orto, un poco di terra
circondata da un muro
dove sono seppellite le carogne dei gatti
è il nonno a badarci
coi suoi bussolotti di semi e di fagioli secchi
con una piccola zappa dal manico lungo
che lascia dietro la casa.
D’estate c’è un po’ di tutto
maturano anche i piselli
anche le melanzane nere insieme all’insalata;
all’inverno solo i cavoli
con le foglie bucate
e il nonno guarda guarda dalla finestra
perché gli piace starsene nel caldo.

Tonino Guerra

Per cominciare dico subito che, ogni giorno, osservando i bambini, continuo a pensare che per loro è ancora tutto nuovo, dunque, anche solo per questo, noi adulti abbiamo il dovere di portarli vicino a ciò che di più nutriente esista. Non a caso ho scelto la poesia di Tonino Guerra, poeta, scrittore e sceneggiatore romagnolo, che in un’intervista di Ines Romitti in Andare per giardini portava un punto di vista molto chiaro rispetto al rapporto tra bambini, anziani e spazio naturale:

Il bambino è come un uccello: l’uccello ha le ali e può volare, il bambino ha le gambe e ha bisogno di muoversi. Ma, per andare più in profondità, è indispensabile che lo spazio, oltre che al corpo del bambino, si avvicini alla sua mente. Vorrei che il bambino cominciasse ad avere un rapporto vero e caldo con la natura, con gli alberi, imparasse a conoscerli e quando piove, riuscisse a sentire la musica della pioggia sulle foglie, si abituasse a vedere come crescono le erbe e andasse a cercare gli animali che si nascondono in mezzo al prato. Il ragazzo, quasi quasi, sente più di avere la fantasia di un cane che di una persona adulta. Io credo sia molto importante che negli spazi all’aperto si sviluppi un buon rapporto tra i bambini e gli animali. Così deve essere per i vecchi. Nei ricoveri dei vecchi penso che, oltre al giardino, vicino alla casa, ci debba essere anche un orto, perché nell’orto si possono osservare come crescono le insalate, i fiori e i frutti, cioè tutto il meraviglioso mondo della natura che in ogni tempo sta nascendo per loro. In quel momento il vecchio diventa padre, nonno, un tutt’uno con la natura.

E nel suo Orto dei frutti dimenticati che si trova a Pennabilli (un paesino sopra Rimini), quello che racconta qui è possibile viverlo e sperimentarlo. In questo orto ci sono piante appartenenti alla flora spontanea appenninica raccolte per essere preservate dall’oblio e dall’estinzione. Gli alberi coltivati comprendono svariate specie di mele, la pera cotogna, la corniola, il giuggiolo, l’uva spina, la ciliegia cuccarina, il biricoccolo, il sorbo, il nespolo, more e mirtilli. Con il tempo si è arricchito di altri arbusti come le buddleie che fiancheggiano il sentiero delle farfalle, e “il gelso della pace” che ha una storia tutta sua. È stato proprio Tonino Guerra a volere, nel 1990, questo orto che ospita anche sculture, opere d’arte. Resiste, a suo modo, anche lui.

 

Allora penso a tutti i collegamenti che si possono creare a partire da un fazzoletto di terra del cortile di una scuola, collegamenti che arrivano a creare un progetto che si porta dentro sia il lavoro più concreto, manuale, sia quello intellettuale.
In alcune scuole il giardino è solo uno spazio di passaggio, un momento di pausa tra un’attività e l’altra. In altre, invece è un vero e proprio laboratorio per muovere conoscenze, apprendimenti, interazioni tra le discipline. E questo accade nella scuola primaria Anna Frank di Rivabella (Rimini) all’interno del “Progetto Orto” nato come naturale prosecuzione di un precedente percorso interdisciplinare sul mare e poi cresciuto fino a diventare una scelta pedagogica condivisa da tutto il plesso. La scuola non dispone di una palestra e lo spazio esterno è dunque un ambiente vivo, capace di offrire libertà di movimento, osservazione, sperimentazione.
 

 

Le aule al piano terra, con accesso diretto al giardino, rendono immediato il passaggio dall’interno all’esterno, alimentando una continuità che sostiene l’esplorazione quotidiana dell’orto scolastico. C’è poi un giorno specifico dove ci si muove a gruppi per la cura settimanale dell’orto, e un altro dove il laboratorio di cucina è la naturale prosecuzione di ciò che si è visto, annusato e raccolto. Nel nostro orto ci sono insalate, cavoli, pomodori, erbe aromatiche in quantità, dunque è impossibile non pensare ai grissini al rosmarino, alla pasta matta colorata con prezzemolo e curcuma e alla zuppa del Signor Lepron, personaggio semi-immaginario nato dalla penna di Giovanna Zoboli, già famosissimo in tutte le classi della nostra scuola. Impossibile non tentare di riprodurre verdure ad acquarello imitando la bravura di Maria Chiara di Giorgio o lavorare su alcune parole vecchie e nuove delle stagioni, degli elementi atmosferici, del giardino.
 

 

 

Per maestri e bambini, che stanno imparando tutto sulla terra, sulle verdure, sugli animali che la abitano, la lettura e lo studio del libro Zappe, stivali e rastrelli. La vita sopra, sotto, intorno all’orto (di Barbara Bernardini e Viola Niccolai) si è rivelata un ottimo punto di partenza. Il libro è caratterizzato da un percorso legato alla stagionalità e questa struttura ha permesso di immaginare un percorso annuale, ciclico, capace di attraversare tutte le discipline. Coltivare un orto vuol dire avere rispetto delle stagioni, dei tempi che richiede la terra, degli esseri viventi che lo animano, e vuol dire anche promuovere la biodiversità e osservare le strette relazioni che si creano tra le specie.

La stagionalità è diventata la lente attraverso cui osservare, collegare, costruire apprendimenti: dalla semina all’analisi scientifica, dalla descrizione alla poesia, dalle metafore al lessico tecnico. Da qui un ponte per il lavoro di scrittura che nasce sempre dall’esperienza concreta: l’osservazione, il contatto con la terra, i cambiamenti che avvengono da una stagione all’altra. Gli insegnanti hanno proposto (gradualmente, in base alla classe di riferimento) una “scrittura a catena” per aiutare i bambini a sintetizzare e attribuire forza alle parole, trasformando le osservazioni in testi poetici, descrittivi o scientifici.

 

L’orto offre naturalmente l’occasione per intrecciare questi linguaggi. Da qui si è sviluppato anche un lavoro dedicato al debate (dibattito) non come semplice esercizio formale, ma come modo per costruire insieme ipotesi, soluzioni, punti di vista attraverso un confronto radicato nelle esperienze dei bambini. Il progetto si è arricchito attraverso una modalità di lavoro a classi aperte. Le quattro classi sovente si incontrano unendo approcci diversi – uno più scientifico, l’altro più esperienziale – e costruiscono percorsi comuni di osservazioni, esperimenti e letture. Tutto ciò prevede, dunque, attività interdisciplinari, ma con rielaborazioni specifiche, che avvengono all’interno di ciascun team in base alla programmazione di classe.

Per gli insegnanti l’ambiente, anzi tutti gli ambienti, sono possibilità per appoggiare gli occhi e vedere come procede il lavoro, un promemoria collettivo per ricordare i passaggi e i progressi in cui siamo coinvolti. A questo proposito riporto le parole di una collega: “i muri delle nostre classi non sono barriere, ma superfici che diventano finestre simboliche, luoghi che mostrano il mondo e rendono visibile il percorso educativo. L’aula, così come l’orto diventa officina, ogni angolo racconta, stimola, accompagna i bambini nel percorso di apprendimento”.

Come dicevo prima, c’è anche un noto personaggio che troneggia all’ingresso della nostra scuola:

Il signor Lepron è un lepre bellissimo, pelo lucido e orecchie lunghe. Vive nei boschi: a primavera salta sotto la luna; d’inverno è bianco; d’estate color della terra e d’autunno… d’autunno nessuno lo sa perché si confonde con le foglie. Il signor Lepron ha una bella tana accogliente, molti figli, molti nipoti, molti pronipoti e la passione delle verdure.

Non solo. Cucina una zuppa deliziosa e intrigante, tutti provano a riprodurla ma nessuno riesce a farla come lui. Dunque è probabile che la sua zuppa contenga un segreto. Per scoprirlo abbiamo ragionato a lungo sugli ingredienti della sua cucina, abbiamo lavorato con le “sue pentole” e sotto la sua supervisione.
 

 

È stato particolarmente facile diventare amici di questo lepre perché la sua storia offre un linguaggio che parla a doppio registro di sogni, attenzione e dedizione, ma allo stesso tempo permette di nominare, classificare, osservare con precisione botanica. A partire dal libro è nato un percorso ad ampio raggio che ha coinvolto diverse discipline. Gli insegnanti hanno chiesto agli alunni di scomporre la metafora della zuppa con la seguente domanda: “Quali sono gli ingredienti materiali che servono per imparare? E quali sono gli ingredienti segreti, quelli che non si vedono, ma che fanno la differenza?”.
Il lavoro ha portato alla creazione di pentole immaginarie, ciascuna dedicata a un ambito della vita scolastica: lo studio, l’amicizia, il gioco, il rispetto. Dentro i bambini hanno inserito sia gli strumenti concreti – penne, libri, quaderni – ma anche elementi simbolici: attenzione, impegno, pazienza, sogni. Gli insegnanti hanno guidato i bambini a ragionare sul fatto che sono proprio questi ingredienti, tanto invisibili quanto indispensabili, a rendere “la zuppa, il grande minestrone dello stare al mondo” un’esperienza unica e diversa per tutti, a pensare a quanto sia importante dosare gli elementi materiali e quelli emotivi. Il racconto ha aperto lo spazio del confronto dove non ci sono risposte uniche, ma possibilità, punti di vista, contributi personali. È in questa pluralità che il percorso ha trovato, e trova ogni giorno, molteplici e interessantissime possibilità generative.
 
 


È uno scrigno di perfezione – il seme –
Non tradisce il motto che lo fonda
la legge che gli impone
d’essere un nome solo: orzo
frumento, grano, riso,
un’agitazione di forme che condensa
sapiente il colore e l’aroma.
Il seme è una miccia inesplosa
che pacifica attende.
Una particella che sogna
addormentata. E poi
si slancia scatenata a popolare di sé
tutta la terra ogni crepa e riva
in una gioia d’essersi svegliata.
D’essere qui, caduta sul pianeta
meraviglia.

Mariangela Gualtieri