Cittadini ora

[di Francesca Romana Grasso]

Recentemente sono stata invitata come relatrice a un tavolo tecnico per esplorare un tema complesso: come le istituzioni possono stimolare il contributo dei cittadini al bene dell’infanzia e dell’adolescenza?

Mentre mi preparavo per l’occasione, testi di legge, dati statistici, ricerche sociopsicopedagociche, saggi, si traducevano in immagini provenienti dalla letteratura e dal cinema. Ne condivido alcune, perché l’educazione ci riguarda tutti: bambini di oggi, di ieri, di domani.

«I cambiamenti si ottengono solo acclamandoli energicamente. [...]  gli adulti quando lo vogliono veramente possono migliorare la loro vita, migliorare il loro destino, ma in tutte queste lotte i bambini sono dimenticati.. non c’è nessun partito politico che si occupi veramente dei bambini [...]. Esiste una spiegazione: i bambini non sono elettori. Se i bambini avessero diritto al voto voi potreste chiedere più asili nido, più assistenti sociali, più di qualsiasi cosa e la otterreste perché i deputati vorrebbero i vostri voti. La vita non è facile, è dura, ed è importante che impariate a diventar forti per poterla affrontare. Oh badate, io non vi spingo a diventare dei duri, ma dei forti. [...] La vita è dura ma anche bella, infatti ci teniamo molto.»

Così parla il maestro Richet ai bambini dopo la scoperta dei maltrattamenti subiti e taciuti da un loro compagno, nel film di Truffaut Gli anni in tasca (1976).

Possiamo ascoltare per intero le sue parole qui:

È per favorire cambiamenti condivisi con la cittadinanza che le principali leggi in ambito sociale ed educativo hanno introdotto dal 1997 il paradigma della Governance, con l’idea di valorizzare in massima misura il contributo della società civile e del terzo settore. Nella mia mente questa idea si traduce così:

Leo Lionni, Piccolo blu e piccolo giallo.

Il girotondo dei piccoli blu, giallo, rosso, arancio, marrone, con tutti i loro toni, è un’immagine guida: là dove un minore non può accedere alla serenità, alla salute, all’istruzione, al diritto di partecipazione, alla libertà, alla cittadinanza, là, in quello scarto tra dichiarazioni e realtà, si deve lavorare per rimuovere ogni ostacolo.

Quentin Blake, Clown.

Ma come sottolinea il maestro Richet le cose cambiano lentamente, in mano gli adulti, e la voce di chi non vota si perde spesso tra orecchie pigre. Quentin Blake in Clown (Camelozampa, 2018) orienta il nostro sguardo sulla spettacolarizzazione delle azioni educative e sulla povertà materiale, educativa e morale. Vincent e Aurélie Guillerey immortalano, con ironia, gli equivoci che generano la tirannia ne I bambini sono cattivi (Sinnos).

Vincent e Aurélie Guillerey, I bambini sono cattivi.

Immagini ironiche, graffianti, drammatiche mettono a fuoco la fragilità educativa degli adulti e la fatica dei bambini e dei ragazzi che la subiscono, sommersi come sono di oggetti che abitano ambienti saturi di stimolazioni, scelte con cura, certo, da adulti premurosi, spesso, ma impazienti di offrire il meglio delle cure disponibili e coltivare talenti, e dunque non meno asfissianti.

Educare significa accompagnare alla crescita, ovvero rispettare i tempi e la natura indomita - seppur impegnativa - dello sviluppo, regolamentato prima di tutto da un programma genetico che orienta le relazioni con il mondo intorno attraverso le funzioni psicofisiche disponibili in ogni determinato momento. Bambini e ragazzi sono oggi oppressi da ipertrofiche improvvisazioni educative che impongono e non propongono, che spingono e non aspettano, che sollecitano e non accolgono. La regia educativa invece agisce sulla pedagogia dell’ambiente, dei tempi, delle relazioni, degli oggetti che parlano ai bambini, come diceva Maria Montessori e come ricorda la sua allieva Grazia Honegger Fresco nell’ultima fatica Da solo, io! (La meridiana, 2018).

L’ambiente è il terzo educatore, sintetizzava Loris Malaguzzi, per questo dobbiamo interrogarlo, ed interrogarci: come stiamo crescendo i bambini? Quale diritto di cittadinanza riconosciamo a ragazzi e ragazze?


Roberto Innocenti.

Anche a scuola l’adulto spesso è sordo e cieco, come ben mostra David Wiesner attraverso l’espressione derisoria di uno sciocco professore, unico in classe a non apprezzare la brillante invenzione presentata da una brillante ragazza.

David Wiesner.

Fin dalla nascita le persone cercano relazioni affettuose, presto imparano le differenze tra una figura e l’altra, ed è responsabilità dell’adulto garantire la qualità e desiderabilità di questi incontri, perché è irreparabile il danno quando si avvicendano persone disinteressate nella cura dei bambini, come ben racconta Maria Gripe ne I figli del mastro vetraio (Iperborea).
«Il Palazzo era pieno di servitori che a turno si prendevano cura dei bambini. Ma le persone di servizio cambiavano in continuazione, senza fermarsi mai a lungo. Pietro e Chiara non avevano il tempo di fare conoscenza con nessuno. Insomma, erano sempre circondati da sconosciuti. Quelle che si presentavano alla porta ogni mattina erano sempre facce nuove. Voci estranee li svegliavano, mani estranee li vestivano, li pettinavano, apparecchiavano e sparecchiavano la loro tavola. Non si sapeva mai come sarebbero state quelle facce, quelle voci e quelle mani: morbide, gentili e dolci, oppure dure, severe e insidiose. All’inizio Pietro e Chiara guardavano con preoccupazione ogni nuovo venuto, ma col tempo non se ne curarono più. Si erano abituati, ormai. A che scopo essere ansiosi o contenti? La volta seguente era comunque un estraneo a prendersi cura di loro.»

I bambini non sono un investimento sul domani, sono cittadini ora, e lo sono tutti, indipendentemente dalle carte e dalle recrudescenza di una disumanità verso i più deboli che è cresciuta negli anni e che sta deflagrando senza timore di palesarsi.

«[...] il tempo passa in fretta... un giorno avrete anche voi dei bambini e io spero che li amerete. Anzi loro vi ameranno se voi li amate, altrimenti loro rivolgeranno la loro attenzione, la loro tenerezza su altra gente o su qualcos’altro perché la vita è fatta così... non si può fare a meno di amare e di essere amati.»

Così il maestro Richet così saluta i suoi alunni.

Fiep Westendorp.

E se l’amore non tollera imperativo, l’amorevolezza vi si appoggia per animare buone pratiche educative, di cura e di cittadinanza solidale, traducendo in presenza una postura ricercata incessantemente attraverso riflessione attenta e mediata compostezza.

Amorevolezza è la parola che ricorre più e più volte nell’opera a cui Pestalozzi tornò per l’intero corso della sua vita: Leonardo e Geltrude, il grande romanzo sociale attraverso cui cercò di affrescare un modello di comunità solidale e collaborativa, capace di educare al bene comune, allo spirito di solidarietà e al senso civico.

I bambini imparano attraverso tentativi propri e attraverso l’esempio degli altri, a partire dalla qualità delle relazioni che vivono con le persone, dapprima con chi si prende cura di loro e poi, mano a mano, con quelle che incontrano nei diversi  ambienti: condomini, servizi educativi, strade, uffici pubblici.